In quanto band presumibilmente composta da personaggi dei cartoni animati, i Gorillaz potrebbero teoricamente fare qualsiasi cosa: registrare nello spazio, creare ritmi hip-hop con denti di pesce, far rivivere la lambada – un orizzonte illimitato. Il che rende leggermente frustrante il fatto che in Cracker Island, il loro ottavo album in studio, Damon Albarn e co. facciano ben poco di straordinario. Questo è apparentemente l’album del gruppo a Los Angeles, ispirato dal trasferimento a Silver Lake, e ha una manciata di ospiti molto californiani come Stevie Nicks, Thundercat e Bootie Brown dei Pharcyde. Tuttavia, Cracker Island si basa soprattutto sui classici tropi dei Gorillaz: una manciata di featuring che attirano l’attenzione, un tocco di hip-hop, una spruzzata di dub e una grande quantità di melodie di Damon Albarn, che immergono il disco in un sole nebbioso. Classico, almeno, è un modo per definirlo. Un altro sarebbe la routine.
Ci sono punti luminosi: “Silent Running” e “Skinny Ape” sono tra le migliori canzoni scritte da Albarn nell’ultimo decennio e sfoggiano quelle performance vocali da piccola popstar smarrita che sa fare meglio di chiunque altro. La melodia dei versi di “Skinny Ape”, in particolare, è una canzone che non si dimentica mai, deliziosa e sconsolata in un unico pacchetto splendidamente vulnerabile.
La lista degli ospiti è d’élite, soprattutto se si considera che i Gorillaz hanno convinto nomi come Nicks, Tame Impala e persino Bad Bunny a fare da spalla a un gruppo di personaggi animati un po’ logori. L’incantevole raspata di Nicks toglie un po’ di smalto a “Oil”, aggiungendo una profondità catartica che la canzone non merita del tutto, mentre Kevin Parker dei Tame Impala conferisce un fascino sonnacchioso a “New Gold”. Ancora migliore è la performance di Adeleye Omotayo, membro del coro Humanz dei Gorillaz, in “Silent Running”, dove la sua voce perfettamente misurata è un’ombra celestiale per la malinconia urbana di Albarn, un po’ come la performance di Peven Everett nel singolo dei Gorillaz del 2017 “Strobelite”.
Nel complesso, però, la produzione e il songwriting sono più “solidi!” che “esaltanti!”. I Gorillaz si affidano spesso a groove di medio ritmo, a brillanti linee di tastiera, alla chitarra e al basso (si tratta di una band, per non dimenticare, che ha invitato sia l’Orchestra Nazionale per la Musica Araba che l’Hypnotic Brass Ensemble nel loro terzo album, Plastic Beach). La batteria suona contemporaneamente grande e piatta, come se la sottigliezza fosse stata sacrificata per l’impatto. La disco patinata di “Tarantula” è senza peso e di basso livello, del tutto piacevole e totalmente dimenticabile. Nel frattempo, i concetti lirici dell’album – si parla di due culti in competizione che vivono l’uno accanto all’altro, combinati con lamentele da nonno sull’eccesso di social media – risultano incredibilmente contorti, come se la band avesse un disperato bisogno di una narrazione a cui aggrapparsi. Dieci canzoni, ottime ma che lasciano un po’ il sapore di un piacere gustato in fretta e furia, forse un lavoro di mestiere ma a bassa emozione finale.

Tracklist
A1 | Cracker Island feat. Thundercat | |
A2 | Oil feat. Stevie Nicks | |
A3 | The Tired Influencer | |
A4 | Tarantula | |
A5 | Silent Running feat. Adeleye Omotayo | |
B1 | New Gold feat. Tame Impala and Bootie Brown | |
B2 | Baby Queen | |
B3 | Tormenta feat. Bad Bunny | |
B4 | Skinny Ape | |
B5 | Possession Island feat. Beck |
Musicaeanima
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