Memento Mori, quindicesimo album della band, è un manifesto e non è il capolavoro incappucciato della Music for the Masses. Non è nemmeno una raccolta di successi di Violator ma segnala che ci sono ancora nuovi modi per Gahan e Gore di avvicinarsi almeno alla loro vecchia magia. Considerato il loro passato di picchi e vette, forse questa è una notizia vecchia. Alla fine, come scrissero Gore e Gahan nel 1982, forse le persone sono fondamentalmente le stesse.
I Depeche Mode avevano quasi terminato il loro quarto decennio e il loro 14° album completo prima che un brano scritto da Martin Gore e Dave Gahan diventasse finalmente un album. Si trattava di “You Move”, un pezzo palpitante di electro pop sballato incastonato al centro di Spirit del 2017, un ginepraio politico di indignazione d’attualità. In mezzo a quegli slogan, “You Move” non è stato un debutto del tutto promettente, notevole soprattutto per il modo in cui ha inquadrato la relazione tra Gahan e Gore. Durante quelle sessioni, il terzo membro e collante interstiziale, Andy Fletcher, dovette essere fisicamente allontanato dallo studio per permettere ai suoi più famosi ex compagni di sfogarsi liberamente. “Se mi dai qualcosa che io e te possiamo suonare”, ha detto Gahan durante la loro canzone insieme. “Fammi suonare il tuo campanello”.
Il secondo lavoro della coppia, tuttavia, non sembra tanto un obbligo o un esercizio di consulenza matrimoniale quanto l’alba di una nuova dinamica. “Wagging Tongue” arriva all’inizio di Memento Mori, l’album più impegnato della band da oltre due decenni a questa parte, con i sequencer solari di Gore a fare da perfetto contorno alla sua voce dorata e goth. È un racconto ellittico di rischio, alienazione e – lentamente, instabilmente, improbabilmente – rinnovamento. “Non sarò persuaso”, cantano insieme verso la fine, l’armonia di Gore è ondulata come i suoi totemici capelli dorati. “Diamo un bacio d’addio ai tuoi dubbi”.
I dubbi che Memento Mori potesse esistere erano enormi. Poco prima che il trio si riunisse di nuovo nello studio di Gore a Santa Barbara (e solo dopo che Gahan aveva superato la sua radicata riluttanza a riunirsi), Fletcher morì improvvisamente a casa sua a Londra, con il vaso principale del cuore che si era lacerato. Fletcher, a soli 60 anni, era stato l’indispensabile “vibe tech” della band, l’olio del suo motore caldo. Sebbene non scrivesse e non suonasse, Fletcher fungeva da intermediario per la coppia, spesso acrimoniosa, che lo faceva, soprattutto quando Gahan iniziò a desiderare di inserire canzoni proprie negli album dei Depeche Mode scritti da Gore. Senza di lui, si chiesero, avrebbero potuto funzionare senza andare in pezzi? “Abbiamo dovuto… decidere davvero: vogliamo finire?”. Gore ha recentemente dichiarato a MOJO. “O continuiamo?” Hanno scelto la seconda, trovando nuovi modi di lavorare insieme, se non scoprendo suoni del tutto nuovi.
L’oscurità e il dubbio – da sempre linfa vitale dei Depeche Mode in continuo rinnovamento – permeano le migliori canzoni di Memento Mori. L’iniziale “My Cosmos Is Mine” si snoda su un mosaico di note statiche frantumate synth criosferici. In un’elegante veste alla Scott Walker, Gahan si cala nel ruolo del narratore che preferirebbe che gli si mentisse piuttosto che dargli altre cattive notizie. C’è un sentore della politica di The Wall, soprattutto quando arrivano i canti di “No war!”, ma la domanda che lo anima è sintomatica del dolore stesso: Quanto puoi ancora sopportare, mortale? “Non fissate la mia anima”, canta Gahan, fermo e carico come un serpente in attesa di colpire. “Giuro che va bene”.
Quel croon ritorna per la conclusiva “Speak to Me”, uno splendido pezzo di malinconia alla Gahan che inizia come un beatifico inno di chiesa ma esce sotto una raffica di rumori maledetti. È una canzone d’amore devota, ostacolata dal disprezzo per se stesso, con Gahan che teme di non essere all’altezza di nessuno se non di se stesso. Insieme al sogno febbrile di Nick Cave e una drum-machine di metà album “Caroline’s Monkey”, questi fotogrammi mantengono Memento Mori in una sorta di pallore permanente. Questo disco si preoccupa più di sopravvivere che di avere successo – ironico, quindi, che questo trittico cupo sia quanto di più nuovo e aperto i Depeche Mode abbiano suonato in questo secolo.
I Depeche Mode sono diventati delle superstar illuminando l’oscurità, trasformando la disperazione o il nichilismo individuale in canti da condividere. Ci provano qui, con un trio a parte che strizza l’occhio ai loro successi più importanti, anche se indirettamente. “People Are Good” e “Never Let Me Go” non solo condividono la prima metà del titolo con due dei più titanici successi dei Depeche Mode, ma anche le loro ambizioni anthemiche. Ebbro, ballabile e profondamente deluso, “People Are Good” è la confessione di un pessimista in via di guarigione che si rende conto che forse aveva ragione, che la nostra stessa natura ci assicura la nostra rovina. La rapida e affilata “Never Let Me Go” si regge su un gancio di chitarra ansioso che è stato a lungo l’arma segreta della band. Sottolinea la facciata di nevrotica sicurezza di sé che Gahan offre così bene, implorando l’amore mentre finge di essere già l’incarnazione dell’amore.
La cowwriting Gore-Gahan non è l’unica collaborazione presente. Gore ha scritto un terzo dell’album con il mago degli Psychedelic Furs Richard Butler, introducendo una nuova vulnerabilità nel mondo a lungo ermetico dei Depeche Mode. (Da parte sua, Gahan ha scritto con la band in tour, il produttore James Ford e l’ingegnere Marta Salogni, anch’essa un’intrigante artista del suono). Il lavoro della coppia su “Ghosts Again” – il primo singolo, la prima volta che i Depeche Mode si sono avvicinati al suono di un vero successo in molti anni – ha convinto Gahan che valeva la pena tornare all’ovile. Il brano è deliziosamente privo di fronzoli, i suoi tasti fluorescenti e l’insistenza dei quattro sul pavimento danno spazio a Gahan per un po’ di proselitismo carpe diem, al riparo dal caos. In qualche modo trova l’incrocio tra “Firework” di Katy Perry e “Bizarre Love Triangle” dei New Order, e poi spara il suo segnale luminoso per i vivi.
Questo è, ahimè, quanto di più vicino a Memento Mori ci sia a un successo, a raggiungere uno di quegli alti innegabili che si insinuano nella psiche per il solo fatto di esistere, alla maniera di “Just Can’t Get Enough”. I Depeche Mode danno il meglio di sé dai tempi di Ultra, ma probabilmente non c’è nulla che li introduca a un pubblico completamente nuovo, a differenza di Ultra. Tuttavia, “Soul with Me” è l’unica vera mancanza, non tanto una fermata a metà album quanto una vera e propria faticaccia: una lenta danza di batteria, chitarre in tremolo e rime finali elementari. Il suo senso di autocommiserazione è in contrasto con l’improbabile storia di resistenza che è Memento Mori, un album che è quasi morto con Fletcher a Londra.
Dopo più di 40 anni, è stupefacente e redentore constatare quanto raramente i Depeche Mode siano stati imbarazzanti. Certo, sono a un quarto di secolo di distanza dai loro ultimi megahit, ma non si sono mai degnati di svolgere i compiti più umili della senescenza: navi da crociera, fiere di stato, tour di album completi. Piuttosto che giocare sul sicuro e sulla pudicizia quando il neo-nazista Richard Spencer ha rivendicato i Depeche Mode per la destra, Gahan è andato fino in fondo, definendolo “un coglione molto istruito… il tipo più spaventoso di tutti”. Hanno sofferto la dipendenza, l’abdicazione, la quasi morte e, ora, la morte stessa, ma non hanno mai fatto un disco veramente terribile inseguendo tendenze che avevano già perso. Per tutta la loro affidabile disperazione, i Depeche Mode prosperano più che altro grazie alla persistenza e all’amor proprio. Alla fine questo è un disco che in parte ci aspettavamo ma che trasuda ancora della latente malinconia che sempre ha contraddistinto i nostri eroi insieme ad una stanchezza globale delle composizioni.

Tracklist
1. My Cosmos Is Mine
2. Wagging Tongue
3. Ghosts Again
4. Don’t Say You Love Me
5. My Favourite Stranger
6. Soul With Me
7. Caroline’s Monkey
8. Before We Drown
9. People Are Good
10. Always You
11. Never Let Me Go
12. Speak To Me
Musicaeanima
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